È stata la più grande preoccupazione di questo autunno e inverno e, anche se meno rigido del previsto, il peso delle bollette di è fatto sentire. I lombardi, in un sondaggio commissionato da Varesenews, identificano il tema del caro energia come il secondo più importante da affrontare dopo quello della sanità. Ne parliamo con Samuele Astuti, consigliere regionale uscente e candidato Pd alle prossime elezioni del 12 e 13 febbario.

Astuti il caro energia è una tra le più grandi preoccupazioni dei cittadini in questa delicata fase economica. E prima ancora che i cittadini il costo crescente dell’energia ha avuto un impatto sugli imprenditori e il costo d’impresa. Lo ha percepito? Che cosa le dicono durante gli incontri elettorali di questi giorni?

Assolutamente si.La preoccupazione è forte. L’attenzione sul caro energia è di tutti, indifferentemente. La prima cosa da fare, e che abbiamo fatto quando eravamo al Governo, è non pensare che di fronte alla crisi ci sia una difficoltà maggiore per le categorie economiche rispetto alle famiglie. È difficile sostenerlo di fronte a oltre 5 milioni e mezzo di cittadini in povertà assoluta, a una crescita della fascia a rischio di povertà, a un aumento della disoccupazione e al crescere delle forme del bisogno. Ce lo dicono i dati ISTAT e i rapporti della Caritas sulla povertà in Italia. Per questo, e vista la disponibilità limitata di risorse che lo Stato può attivare, sarebbe necessario agire sulle situazioni di maggiore criticità che valgono per i cittadini come per le imprese. Il caro energia si affronta sia con misure che provano a coprire la situazione di emergenza, sia facendo leva sulle modalità con cui si sviluppa il mercato dell’energia, sia attivando meccanismi che mettano al riparo le situazioni di debolezza con politiche di lungo respiro, cioè con investimenti per diminuire la dipendenza da determinate fonti fossili.

La competenza su questo capitolo è soprattutto dello Stato, giudica sufficienti gli interventi messi in campo dal Governo Meloni?

L’attuale Governo non mi sembra che abbia una visione adeguata di quello che l’Italia dovrà fare per aiutare gli italiani ad affrontare i cambiamenti che sono necessari. Dobbiamo dire chiaramente che il caro energia, la crisi energetica, i cambiamenti climatici e la transizione verso una società e un’ economia sostenibili non si affrontano con gli occhi rivolti al passato ma sapendo che prima mettiamo in campo misure adeguate alla transizione e più tranquilla sarà questa traversata. Certe immagini, anche pubblicitarie, del cambiamento “green” fanno sembrare tutto facile ma non sarà così. Ce l’ha detto da tempo lo stesso Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Il passaggio ad un modello ecologico e digitale implicherà costi e adattamenti anche culturali profondi. A questo proposito credo, ad esempio, che il muro eretto già in queste settimane dal Governo Meloni contro il programma – tra l’altro ancora in fase di discussione preliminare – per diminuire l’impatto ambientale dell’attuale patrimonio edilizio sia l’esatto contrario di ciò che bisognerebbe fare. È infatti un’occasione unica per condividere dei cambiamenti che diminuiscano la nostra impronta ecologica. Legambiente ricorda che il 37% delle emissioni inquinanti vengono dal riscaldamento delle abitazioni e dei luoghi di lavoro . Lì bisognerebbe agire, ma dubito che la propensione di questo Governo a difendere non si sa quali interessi permetterà di essere al passo con i tempi.

Ci sono interventi o buone pratiche che possono essere incentivate dal pubblico?

Occorre capire che non c’è un settore su cui occorre agire, serve invece comprendere che ogni settore deve compiere una rivoluzione copernicana. Questa visione, per fare degli esempi, riguarda un modo diverso di costruire e immaginare lo spazio comune e privato, un diverso modo di relazionarsi e di muoversi nello spazio, un’attenzione a cosa possiamo produrre e cosa no, considerare cosa va cambiato del nostro modo di utilizzare gli oggetti che produciamo e scartiamo con leggerezza, una riflessione sui tempi del nostro vivere e del nostro lavorare. In tutti questi ambiti lo Stato ha ampi spazi di manovra e di innovazione progettuale. Certo bisogna però volerlo e sapere qual è l’obiettivo. Se riprendiamo il Rapporto di Legambiente sull’aria che respiriamo, leggiamo che il target di diminuzione delle emissioni che ci siamo dati per il 2030 lo raggiungeremo forse nel 2040. Se questo è lo scenario siamo decisamente fuori scala. Anche in questo il Governo ha competenze e ad esso andranno attribuite responsabilità, nel bene e nel male.
Concretamente gli esempi possono essere molteplici. Nell’ultimo Consiglio regionale abbiamo presentato un ordine del giorno per agganciare la costruzione di nuovi parcheggi e di quelli attuali all’installazione di mini parchi voltaici, un po’ come stanno facendo in Francia. È un esempio virtuoso di cui si parla poco e che è stato votato all’unanimità dall’Aula.

Da ormai qualche anno si parla di comunità energetiche. A che punto siamo oggi? Il quadro delle norme è certo?

Purtroppo, sulle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) siamo in ritardo. Lo sono stati i governi precedenti e quello attuale non è da meno. C’è un quadro certo normativo approvato dal Parlamento nel 2021, ma mancano ancora i decreti attuativi che sono fondamentali per dare avvio ai progetti che molti hanno già pronti. Sembrava dovessero uscire a novembre, poi a dicembre. In questi giorni il viceministro ha detto che sono pronti ad uscire. Bisogna solo confidare che sia la volta buona, anche perché abbiamo 2,2 miliardi di euro previsti dal PNRR pronti ad essere impiegati nella realizzazione delle CER nei comuni sotto i 5 mila abitanti.

Come funziona nella pratica il modello di una comunità energetica? Come si mettono insieme privati ed enti pubblici?

Una Comunità energetica è un ente legalmente costituito che prevede il coinvolgimento di soggetti pubblici e/o privati. Questi soggetti decidono di produrre energia elettrica pulita attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili, autoprodotta e condivisa che può essere auto-consumata, scambiata e, in casi di surplus, ceduta alla rete. Naturalmente per parteciparvi non serve che tutti siano possessori di un impianto ma tutti possano utilizzare l’energia che l’impianto produce.